13.4.14

Se vivessimo su Marte guarderemmo due lune

Dopo trecentotrenta giorni finisce che non riesci più a distinguere i tuoi confini da quelli suoi.
Come un colore secondario siamo mescolati insieme, sfumature, reazioni chimiche, siamo pigmenti intrecciati indissolubilmente. Il verde, il viola, l’arancione, stati irreversibili, non puoi più tornare indietro, il giallo non esiste più. Non il rosso, non il blu.
E insieme boicottiamo le funzioni funebri per guardare i tramonti e le isole coperte dalle case abbandonate, per ridere di Dio e di noi.
Insieme paghiamo alla cassa e saziamo gli sguardi del popolo, modifichiamo le prognosi dei nostri disturbi intestinali, ma siamo insieme, anche quando sbatto la porta e ti mando a fanculo, e tu non ti arrendi, tu non ti arrendi.
Le nostre guerre in fondo sono solo velleità artistiche, licenze poetiche, e al termine della serata si ringraziano i gentili spettatori ma in particolare i due ragazzi seduti sotto il palco, che portino l’amore per le strade della città che trecentotrenta giorni prima hai fatto risorgere.
Se fossimo su Marte adesso staremmo guardando due lune, le costellazioni da altre prospettive, continueremmo a lasciarci messaggi in codice e non moriremmo quasi mai.
Così l’aria profuma di glucosio, la luce ti filtra negli occhi, non riesci più a capire dove cominci tu e dove finisce lui, dove comincia lui e dove finisci tu.

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