Adesso so che l’odore che ti porti addosso è in realtà polvere da sparo.
L’odore che ti porti addosso è di detersivo sottocosto preso al
discount, è di quello che cucini la domenica, che una volta era festa e
adesso è solo il giorno delle maschere antigas, dei balli degli anni
quaranta, delle finestre socchiuse e delle rughe intorno agli occhi.
Delle rughe intorno agli occhiali scuri.
Nel mese delle ricorrenze e di tutti i giorni che abbiamo santificato,
nelle vie crucis che abbiamo percorso regolarmente, nei mostri che
abbiamo ingoiato e poi ignorato e poi resuscitato e riseppellito.
Si sentiva cantare “quant’è bella giovinezza, non vogliamo più
invecchiare”, ma invece invecchiamo e continuiamo a non farci ascoltare,
ad alzare la voce inutilmente, ogni tanto a non fallire.
A sentirci parte di qualcosa di grosso solo a fasi alterne, ad
elemosinare attenzioni, mentre attorno scoppia la guerra su quanto possa
essere giusto un matrimonio al giorno d’oggi.
Parliamo di attualità per non parlare di cose che ci stanno molto più a
cuore ma che non devono venire alla luce per non compromettere
l’equilibrio cosmico, come il fallocentrismo e l’amore vero, i minorenni
drogati in preda ad esplosioni ormonali, l’amore puro, la quasi
completa incapacità di tenere sotto controllo gli impulsi sessuali e
tutto ciò che ne consegue.
Riempiamo i buchi conversazionali alla meglio per non dirci
“abbracciami” o “è stato bello abbracciarsi” o “vorrei che mi
abbracciassi ancora”. Ci teniamo a debita distanza ad eccezione delle
occasioni importanti e dei giorni dopo le notti passate al pronto
soccorso.
È così che siamo diventati gli ultimi cittadini liberi di questa famosa
città incivile, e non rendiamo grazie alle riflessioni, ai catechismi,
alle metafore.
Adesso anche le mie mani sanno di polvere da sparo, ci sono cose che non capisco, dai libri per bambini non ho imparato niente.
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