30.8.10
Ti restituivo l'anarchia.
Dicevamo che la guerra fosse finita. Ci lasciavamo inghiottire dai nostri vuoti cosmici aspettando che qualcosa cambiasse, e ci credevamo fermamente, mentre salivamo le scale dei sottopassaggi mano nella mano, guardandoci intorno per assaltare eventuali nemici pubblici. L'acqua zampillava. I vecchi urlavano. Cercavamo l'arte nelle birre sottocosto quando ad un tratto ti guardai e pensai a Catullo, che di certo ti avrebbe attribuito delle qualità inappropriate. Eravamo degli dei nella nostra libertà. Intoccabili. La bellezza della sera esiste solo quando ti appartiene, pensavo. Le stelle ci esplodevano davanti agli occhi, quasi cadevo ai tuoi piedi. Le tue mani, ricordo le tue mani come fossero ancora qui, a stringermi il cuore e le lacrime che avrei dovuto trattenere. Un giorno ci accorgeremo di aver vissuto come specie in via d'estinzione, di aver abusato dei voli pindarici quando la forza di gravità ci tradiva. E mi si stringeva lo stomaco al pensiero che la guerra sarebbe finita. Nelle nostre notti ti restituivo l'anarchia. Mi adornavo di autolesionismi illeciti e mi chiedevo cosa stessi facendo lì, con gli occhi, e le orbite, e i nervi al loro posto. Quando i giorni ci colavano addosso come piogge acide promettendoci un futuro di deprivazione e alcolici. Guardammo oltre le nostre vertebre e non trovammo nulla. Poi l'odore distante di sale ci avvolse come indaco nelle notti solitarie.
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