Urlarti che siamo maledettamente belli.
Rumori assordanti, lucciole incendiate, senti gli spasmi dei tuoi feroci languori?
Senti i tumulti del cuore.
Le voci ci si sbriciolano attorno e non possiamo far altro che aspettare un altro inverno.
I minuti di silenzio per i nostri flussi di incoscienza e gli sguardi compunti come profezie.
Nelle increspature delle ciglia scosse dal vento il penultimo addio.
"Ditemi che non è tutto vano, che ci sarà una ricompensa, un perdono.
Ditemi che tutto questo non è reale, che è solo una proiezione della mia psiche malata.
Ditemi che quando tutto questo sarà finito non faremo troppa fatica a sbocciare sulle nostre tombe aride.
Che se un giorno darò delle risposte a questo tripudio di domande, avrò la facoltà di dimenticarle.
Che se solo proverò a gemere qualcuno laggiù si volterà appena.
Che le mie dita saranno le prime a prendere fuoco.
O almeno ditemi qualcosa."
Intrappolati in vortici di silenzio accenniamo un saluto.
Gli abbracci spietati della sera, dei vecchi amanti e dei loro sillogismi.
In passi angusti si cela sempre un turbamento, un rantolo metafisico represso sul nascere.
Quando i cieli suburbani ci avvolgeranno saremo irriconoscibili.
Sublimi ed inquieti.
"L'inferno sono gli altri, ma non temere, presto toccherà a noi.
E ti regalerò colori che non hai mai visto. E piangerai, con il cuore stravolto piangerai.
Questo è il prezzo della rivoluzione.
Ballerai con me?"
E poi confessarti che siamo terribilmente belli.
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