10.6.10

Miserere mei.

Ti ricordi di Esenin, sbiadito di morte? Ti ricordi l'urlo?

Con gli occhi ossidati cercavo qualcosa che non c'era.
Poi Icaro ha deciso di volare.
E idolatriamo devotamente proiezioni mai esistite, deturpati dalla nostra consueta cecità.
Mi chiedo perchè non riusciamo a metabolizzare ciò che non siamo,
che non siamo mai stati, né mai saremo.
Il Fantasma dell'Opera si esibiva in assurdi silenzi plateali e a nessuno importava, del resto.
Gli uccelli notturni. Siamo il massacro, un amore devastante
di carni vive e cuori aperti, di giorni interminabili.
Miserere mei, amore mio.
Quando ci si guarda tra le labbra nel disperato tentativo di trovarci qualcosa di più limpido.
E i capelli ti colavano sulla fronte, tu sorridevi e sembravi dire qualcosa di irrazionalmente romantico.
Le morti precoci dei cantautori sono più agghiaccianti delle bambole di porcellana, pensavo.
E insieme giocavamo a diagnosticarci le patologie più disparate.
Chissà se gli autistici si tengono per mano.
Adesso tutto ciò che voglio è il canto spietato di un violino,
un battere e levare che si fa mesto e meravigliosamente ermetico all'occorrenza.
Un arpeggio timido di corde metalliche, una natura deturpata dai cambi di stagione.
Voglio un'eco che scalpiti nei nostri occhi.

Ti avrei tenuto stretto a me se non fosse stato troppo tardi,
qui, fra i nostri candori utopici e i loro insuccessi.
Ti avrei tenuto stretto.

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