21.2.10

Quel pollo arrosto nello stagno

E noi eravamo più egocentrici delle rane in bocca e del pollo arrosto nello stagno.

Gridano, e nessuno li ascolta. E continuano a dimenarsi in mezzo al putrido odore di gente che si fa avanti in una di quelle notti troppo illuminate, senza farsi notare. E avrebbero molto altro da dire, se non fosse che le carcasse utopiche spingono troppo sui loro polmoni. Ma loro continuano a gridare, e nessuno li ascolta. E cercano risposte nei fondi di bottiglie vuote, cercano risate corteggiandole come fossero orli di gonne appena confezionate. Parlano accalcandosi l'uno sull'altro in lamenti impercettibili. Nulla. Non riescono a vedere, né a sentire. Ma ciò che ancor più non sopporterebbero è ascoltare. Nient'altro che vetro di psichedelici colori davanti alle loro dita troppo secche, nel petto un'assurda nausea da naufragio. Gridano, sembra ancora di vedere i loro corpi aprirsi come urla e spargersi in ogni centimetro dei loro respiri affannati, gli uni contro gli altri, sempre, e in nessun altro modo. Le loro voci insondabili saturano l'aria, pur spalancando le labbra non riescono ad inalare nient'altro, gementi e piangenti, senza gemiti né lacrime. I loro occhi vuoti, le pupille dilatate e offuscate, inespressive, totalmente aride. Come potrebbero solo pensare di vedere. Malconci derelitti di formule troppo logiche per i loro corpi amari di sete. Di seta. Se questo è un uomo, ognuno di loro farfuglia ad alta voce senza mai fermarsi, come una nenia, una litania o una maledizione. E ognuno di loro si aspetta in cambio una risposta, un cenno, anche l'inferno sarebbe potuto andare bene. Un bacio. Un abbraccio disperato. Sono diventati un abbraccio disperato, incastonato per sempre nel macabro muro del pianto a cui hanno dato forma. Spiriti folli che si intrecciano in un’atroce sofferenza. Voci sommesse, interminabili. E quasi sfiniti, sembrano essersi arresi al silenzio. Il silenzio che si soffoca. Più nulla. Come quel pollo arrosto nello stagno. Sguazza e sprizza e starnazza e vuole solo attirare l’attenzione e vuole lo zuccherino e il pallone a strisce colorate. Quel pollo arrosto nello stagno con un impermeabile giallo e il giubbotto di salvataggio e i braccioli e il bagnoschiuma e le paperelle di plastica che combattono e non si danno pace. Quel pollo arrosto nello stagno con le mani sudate, volendole chiamare mani, e il becco sudicio in preda al panico, volendolo chiamare becco sudicio in preda al panico. Quel pollo arrosto nello stagno con gli occhiali e la bombola di ossigeno e le branchie disattivate e le istruzioni per tornare a sorridere. Quel pollo arrosto nello stagno che piange e prega, bestemmia e prega, si tuffa e prega, cerca il suo specchio e prega, impara a nuotare e prega, congiunge le mani e annega.
Capita raramente, ma qualcuno giura di averlo visto.

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