21.2.10

Burnout

Ventiseinovembreduamilanove.

Vecchia piccola borghesia, per piccina che tu sia,
Non so dire se fai più rabbia, pena, schifo, o malinconia.

E hanno il coraggio di lamentarsi.
Di drogarsi.
Di prostituirsi.
Di separarsi.
Di contraddirsi.
Di avvelenarsi.
Di intenerirsi.
Di valutarsi.
Di impiccarsi.

Supplicando per nuovi scontri,
I nostri impliciti pianti interrotti.
L'aria ci appanna gli occhi e i buoni propositi.
Ci incontreremo in Antardide, vi chiameremo zar.

E non ho il coraggio di perderti.
Di investirti.
Di scuoterti.
Di negarti.
Di commuoverti.
Di crederti.
Di sorvolarti.
Di corromperti.
Di circumnavigarti.

Orgasmi iperprotettivi nel nostro buio prefabbricato.
La nostra pace terrificante.
Costruiremo le nostre Americhe personali sulla sabbia.
Berremo fino a farci uscire sangue dagli zigomi.
Vibra il nostro fegato d'esportazione.

Strappandomi le palpebre mi vergognai.
Mi condannai.
Mi consolai.
Mi rivoltai.
Mi stroncai.
Mi prostrai.
Mi affogai.
Mi lacerai.
Mi addormentai.

Chiederemo il futuro ai segnali stradali.
Ci chiamavano disadattati e ci costringevano a deportarci.
Non avevo mai odiato tanto una risata. O forse sì.
Non avevo mai odiato tanto scoprirmi suppellettile.
Quando fine diventa arte. Quando l'isola che non c'è.
Se solo avessi del tabacco riuscirei a vedervi meglio.
Dicevamo che. E invece mi hai dimostrato che.
Pertanto direi che. Sì, direi proprio che.
I tuoi occhi al limone, lo sguardo attento di Fabrizio.
Inveivo contro un passato troppo prossimo
Mentre convalidavo la mia presenza all'Inferno.
Alla ricerca dell'identità su guance rosse e capelli ossigenati.
Le vostre scatole craniche di forma fallica mal confezionate
Che ballavano disarmonie sconosciute. Gli abbracci spezzati.

Ed il profumo di quei fiori ha ucciso la marchesa.

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