12.3.11

Our homemade choirs like forest fires

Ti avrei regalato la morte più bella del mondo, se solo avessi potuto. Ci hanno trovati la notte la neve l’alba la luce la tempesta il fuoco il gelo la legna con le mani unite e il respiro affannato. I rantoli e gli occhi socchiusi. Eravamo tutti lì, a incidere nei nostri dna gli ultimi baci rubati. Le tue mani che sono come le mie. Le lacrime cristallizzate ai lati, il dolore che non sei riuscita a dirci. Eravamo tutti lì, a rimpiangere qualcosa che avremmo dovuto e che non abbiamo voluto o potuto darti prima. A ingoiare le lacrime per non scoprirci mortali, a fingere di iniettare ancora un po’ di vita nelle tue vene distrutte, nei tuoi polsi viola. Cercavamo dei segni ovunque, tracce d’amore, eravamo disidratati. Bianchi rossi e gialli, sotto le macerie dei nostri occhi sfatti. In questa città sopraffatta dalla cultura del lamento, dove chi sta peggio vince. Ci siamo fumati l’anima in cucina, contro i vetri gelati delle finestre e le urla dei vedovi e degli orfani e dei parenti tutti. Ma io volevo dirti che mi dispiaceva. Che sarei potuta essere più presente e non l’ho fatto. Che mi piacevano i tuoi racconti sulla guerra e sulla pace e sui soffitti che crollavano a Castanea. I tuoi proverbi e le tue massime filosofiche sui dolori e sul tempo. Volevo dirti che qui è tutto circondato da rovi, erbaccia e fiori gialli che sembrano miele. Perché da piccola mi dicevate che erano buoni, che si mangiavano. Il giallo della primavera. Mi sarei ubriacata di liquore all’alloro, per farci felici, ma era finito. E la folla aveva gli occhi sgranati, le lenzuola luccicavano, le finestre sbattevano arrogantemente sulle preghiere. Ti abbiamo incrociato le mani con un foulard, il tuo armadio esplodeva, come sicuramente qualcos’altro nei tuoi organi interni, perché c’era del sangue nero tutto intorno. Le luci di San Giovanni. I luoghi comune sulla morte che diventano realtà. E i fiori e il cemento, il marmo, i fiori e il cemento. Le sottili linee rosse che abbiamo scovato in chiesa. E poi abbiamo ballato tutta la notte sul parquet rovinato, ti ho chiesto se tu li avessi, dei rimpianti. E non ne avevi. Come Jones, adesso che sei un violino, un flauto, che con la banda e la marcia funebre sembravamo uno di quei film ambientati in Sicilia. Ti avrei regalato la morte più bella del mondo, e se solo avessi potuto ti giuro che l’avrei fatto.

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