Poi la notte ci portava altrove. E tu c'eri sempre, coi tuoi occhi che sono pietre preziose, coi miei pensieri fuori posto. La musica ci rimbombava dentro. Come avrei potuto desiderare qualcosa che non fosse già lì? Le mie prospettive temporali sono sempre rivolte al passato, le tue non l'ho ancora capito. Mi avvolgevi come fossi un bambino sperduto, eri un cielo ardente addosso, un diluvio universale. Mi riempivi dei tuoi respiri intermittenti, dei tuoi battiti dispotici, del tuo profumo. Mi tenevi al sicuro. E gli uomini che si sgolano e si disperano e si lacerano e ci tengono compagnia nel dormiveglia come primitivi spaventati da un mondo informe e indecifrabile, dalle valli di lacrime che non sono state ancora corrose dai fiumi o dallo scioglimento dei ghiacciai. Seppellisco i nostri giorni insieme e disegno una mappa come quella dei pirati per poterli ritrovare. Il rumore dei miei passi andando via è sempre diverso da tutti gli altri. E le nostre palpebre sbattute e gli occhi rossi iniettati di nostalgia alle sette del mattino, e tutti i giorni violenti consecutivi che dovremo ignorare per tornare a vivere. Quando cercavo di memorizzare le strade per sentirmi a casa, quel grande carro sul muro è diventato un importante punto di riferimento, come i distributori di preservativi e il carcere. Le caramelle e tutti gli altri programmi di cui ci dimentichiamo puntualmente. La canzone dei Sigur Ros con cui avrei dovuto sincronizzarmi, che adesso ha tutto un altro significato.
Come tutto il resto, poi.
En það varst þú sem allt
Lést í hjarta mér
Og það varst þú sem andann aftur
Kveiktir inní mér.
Ljós í þokunni
Nessun commento:
Posta un commento