21.2.10

Ricordi cancerogeni

Ti ricordi di quei giorni
in cui tutti eravamo più curiosi,
meno confusi e molto più illusi
di quei minuti che si servivano
dei tuoi vacui consensi
fino a spalancarti le labbra
di quando Libertà, Futuro
e Compagnia erano
infidi e spudorati alleati
di quelle notti in cui
il sonno non aveva dominio
sulla tua credulità,
e lo spazio e il tempo
non ti contestavano
dell’acqua che ti torceva
il viso in una smorfia
e scivolava grata
della sete artificiale,
dei quadri sospesi,
delle api e del vecchio gelso
delle tonsille ingoiate per caso
alla stazione dei nuovi arrivi
e lo sconosciuto eri sempre tu
di quando si faceva per fare
si diceva per dire
e non c’era niente da ricordare
della cortesia di un sogno
di chissà quale avvenire
di sigarette estranee
che non si accendevano
per stanchezza e per inerzia
e “non lo so” è il mio difetto preferito
di chiavi inglesi, chiodi e asce
al loro posto di manovra
di giochi in bianco
finali in nero e il grigio
nascosto nel ripostiglio
di mosche gialle
e una corda appesa all’albero
di boccoli irrequieti
e di bambole amputate
al sole di novembre
di numeri insistenti
senza senso del pudore
dell’umorismo
e di ogni altro senso
di pillole al catrame
e lo zucchero va giù
di navi consumate
con scialuppe insufficienti
di mani bagnate dalle spine
dell’albero di specchi
rotti per l’occasione
dell’altalena rossa
con gli agnelli da imbucare
della strada sempre storta
sulle spalle di un furgone
dei veli azzurri col serpente
e con la dislessia del cammello
a cui dovevi regalare una vocale
c'è ancora troppo da ricordare.

Faresti meglio a smettere.

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