1.6.12

La sua anima accesa

Allontanarsi da sé. Liberarsi. La chiamerei dichiarazione di poetica se non fosse troppo arrogante da parte mia. Se non fosse così intriso di superbia.
Ho sempre sentito il bisogno di confermarmi, di stabilire punti di continuità tra un evento e l'altro. Identità, la chiamano. E l'unica cosa che sia mai riuscita a cambiare è la grafia, di cui non si può certo dir bene.

Liberare le passioni, gli istinti, gli impulsi. Disinibirli.
Come prendere fuoco e sbarazzarsi di questi motori immobili che di divino non hanno la benché minima traccia.
Se solo esistesse qualcosa in grado di dare più valore alla vita, e meno alla vita retta, alla vita giusta.
A queste inutili strutture e sovrastrutture da cui ci lasciamo volentieri soffocare.
Le consuetudini, le prassi, il mos. L'emancipazione di cui andiamo così fieri.
Siamo in gabbia. In catene. Siamo strumenti dei nostri stessi strumenti.

Avrei bisogno di trasgredire, di svincolarmi da queste pulsioni represse, da queste nevrosi.
Io voglio la felicità di Freud.
La libertà non esiste che per i barboni.


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